venerdì 6 luglio 2007

JACK KEROUAC: STORIA DI UN POVERO DIAVOLO (O ANGELO?)


La prima volta che ‘incontrai’ Jack Kerouac fu un pomeriggio di diversi anni fa…

Mi aggiravo tra gli scaffali di una libreria che vendeva roba usata dietro casa: stavo cercando il solito libro appioppato per le vacanze dai Professori (di cui non ricordo neanche un titolo). Prima di allora non Lo avevo mai sentito nominare – tantomeno a scuola. (gli insegnamenti di Maestri come Lui, Corso, Ginsberg e Borroughs non si trovano in nessuna scuola che io conosca).
Gettai per caso l’ occhio sull’ immagine di una copertina consumata dal tempo e da qualche mano desiderosa di vagabondare macchiata di non so cosa. Niente di particolare, soltanto una Pontiac distrutta e cartelli stradali. Il titolo – “On the Road” – mi incuriosì… Così incominciai furtivamente a leggerne le prime pagine: “Jack Kerouac nasce a Lowell, una cittadina industriale del Massachussets il 12 marzo 1922…” niente di speciale (pensai). A colpirmi fu il rapporto della Marina Militare che costò il congedo anticipato all’ allora 21enne aspirante scrittore. Si parla di forti tendenze schizoidi, abuso di alcool, idee suicide, eccessiva inclinazione alla masturbazione… si… avete capito bene… eccessiva.
Insomma: chi era questo tipo strambo dal cognome francese quasi impronunciabile per la mia lingua di adolescente? E soprattutto cosa voleva da me? Sembrava come se l’ anima dello scrittore fosse imprigionata nel libro… come se Kerouac mi chiedesse di portarlo con me per un ultimo viaggio.

Henry Miller disse di Lui: “Jack Kerouac ha violentato a tal punto la nostra amata prosa che essa non potrà mai più rifarsi una verginità”.
Aveva ragione. La sua scrittura è intensa, chiama le cose con il loro nome e si ferma all’ essenziale; non cerca la suggestione né l’ effetto emotivo particolare.
Fino ad allora le mie uniche letture ‘impegnate’ erano state “La fattoria degli animali” di George Orwell e una biografia di Kurt Cobain. Così il libro passò dagli scaffali impolverati della libreria alle mie avide mani. Ero un adolescente che si affacciava al sesso: stavo perdendo la mia verginità. Da allora “On the Road” ha cambiato il mio modo di vedere le cose.

Negli anni 50/60 Kerouac fu eroe emblematico di quella “Beat Generation” alla quale ha dato il nome; l’ aggettivo “beat” vuol dire sì battuto, sconfitto, emarginato, ma più di ogni altra cosa vuol dire ‘beat-itudine’, che proprio Lui ha cercato per tutta la vita senza mai trovarla, e di cui, invece, Dean Moriarty (al secolo Neal Cassady) protagonista del romanzo pare maestro.

Kerouac si fece portavoce dei sogni di due e più generazioni; sogni di ribellione, sogni di viaggi, ma soprattutto sogni di fuga da quella società ormai degradata dal consumismo… lo stesso consumismo di cui oggi Jack Kerouac è vittima: più mitizzato che conosciuto! alla stregua di “Che” Guevara, Einstein, Marilyn Monroe e la “Gioconda”. Già perché quando un’ immagine viene riprodotta migliaia di volte, diventando riconoscibile a tutti, entra nel mito: pensate ad Andy Warhol che ha reso ”icona sacra” un barattolo di fagioli!!! Dunque non c’ è da stupirsi se oggi Kerouac ha “battezzato” centinaia di bar e “venduto” milioni di Levi’ s. L’ apice lo ha raggiunto il ‘solito’ Johnny Depp (non me ne voglia) che ha sborsato 10mila dollari per un Suo impermeabile!!! Roba da pazzi!!!

Non ho ancora capito chi fosse Jack Kerouac e forse non lo capirò mai. Ma cosa potrebbero dirvi - ancora - professori, saccenti, biografi (qualsiasi riferimento a Fernanda Pivano è puramente casuale…) su questo angelo (o diavolo?) che una volta camminava tra noi, anche se, forse, ad un passo da terra?



Ps: Jack Kerouac – nato nel 1922 a Lowell – è morto nel 1969, in Florida, di cirrosi epatica.

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